Wilson Joliet

It's Not Dark Yet.

martedì, gennaio 31, 2006

La rinascita di Willy

"Se la forma è di importanza fondamentale questo non vuol dire che io mi debba accodare al gregge."
Willy Sensy era un vecchio corpo di uomo, oltre gli ottanta anni.
Un corpo che era stato forte, rigoroso nell'amor proprio.
No fumo. No alcolici, no grassi. Tanto movimento, aria buona, corse, letture, riposo.
E ora, dopo una vita passata a non sgarrare, si trovava vecchio e morente come tutti.
Immobile in un letto di provincia. Bava e muco che macchiavano il cuscino.
"E no, porca puttana, ora tocca a me sfasciare qualche regola!"
Con fatica si tirò a sedere, tossendo sangue e gridando in silenzio.
"Una vita immolata sulla rettitudine non merita una fine così poco gloriosa!".
"No, col cazzo, non ci sto! Fanculo alla stracazzo di legge naturale, fanculo al ciclo della vita! Io non morirò smerdando la ceramica del cesso!"
Volontà. Solo volontà.
La pelle, grinzosa e flaccida cominciò a tirare. Le ossa, fragili ossa di vecchio,
scricchiolarono gridando al bilocale con cucina la loro voglia di evasione.
"Si fotta la forma! Ogni forma! La mia forma!".
Divenne cose strane, animali visti in sogno, gerarchie di incubi, un plotone di meravigliose curve.
Divenne esseri maschili e femminili e senza sesso. Divenne oggetti di design, utensili dotati di parola, divenne tutto cio che in una vita aveva visto, sognato e immaginato.
La sua mente era scatenata, rideva del potere che con uno sforzo tanto piccolo aveva conquistato.
Faceva male, ma era un dolore che sapeva di libertà e per questo ci si buttò dentro a capofitto.
Poi, d'un tratto, trovò quel che cercava.
Se stesso, anni prima, a diciott'anni.
E si fermò.
Nudo e sudato crollò a terra esausto.
E sorrideva.
Si guardò le braccia giovani e snelle. Poco muscolose ma così piene di speranza.
Sorrise, stremato, e si mise a canticchiare.
Il tempo di riprendersi e sarebbe uscito a fare un giro nel bosco dietro casa.
Il suo primo giorno da immortale meritava una passeggiata all'aria aperta.

ULTIMO VENNE IL VENTO

E per ultimo arrivò il vento
a spazzare via le bricioline luccicanti della sua anima di cristallo ridotta in polvere
un tempo era stata bella inutile e pacchiana come uno swarowsky
una piccola armonia di spigoli imprendibili, taglienti, affascinanti.
Ora, dopo il passaggio di Mary Gigante, non restava altro che polvere,
una polvere luminosa, dai colori d’arcobaleno.
Mary vagava sulle mappe dei corpi, entrava in uno stato e poi in un altro,
stravolgendo geografie di uomini e di donne, ma soprattutto uomini.
Un’ ingresso, un sorriso, ed una scogliera crollava per lasciare posto ad un deserto o ad un lago salato o dolce a lei non importava.
Geologie mutate, carbone trasformato in fango e calcare in diamanti.
E come costante una vena d’argento in ogni cosa.
Mary, chilometri di ciniglia che avvolgevano il suo corpo, scarpe tacco a spillo nere grandi quanto una nave transatlantica.
Un gigante.
Una donna.
Una catastrofe.
Vagava Mary, vagava e poi tornava a passare su di lui.
Raccontava storie, accendeva fuochi, si sdraiava per dormire riscaldando ogni cosa col suo fiato.
E poi ripartiva.
E venne un giorno che Mary capì d’amare quell’anima affilata.
E così divenne pazza perchè Mary era, come tutti i giganti, pazza dalla nascita.
Solo che non lo sapeva.
Entrò nel suo paese, nella sua città, nella sua stanza.
Lo prese tra le dita, lo guardò negli occhi.
Gli sussurò “Tu non sei niente” e lo posò per terra.
Poi iniziò a danzare, pestando i piedi in terra cominciò a cantare.
Tutto si agitava, tutto tremava, tutto era rivolta.
Esplose, lui, sbriciolandosi
Nella luce creò uno sbuffo di milioni di puntini luminosi.
Fu un bello spettacolo, davvero. Da biglietto ad alto costo.
Lei sorrise, fece “Wooops!” divenne rossa e uscì di casa.
Della polvere di lui s'appiccicò alle di lei vesti e girò il mondo e fu felice.
Il resto...
il resto rimase lì.

Qualcuno cercò di sniffarlo, ma la polvere si ribellò distruggendo i pippatori.
Qulacuno cercò di adorarlo, ma non ne ottenne niente e lasciò perdere.
Altre cose.
E per ultimo arrivò il vento,
e di lui rimase solo una traccia, nascosta nell’aria,
che forse,
un giorno e per un attimo
percepiremo ancora.

La Ragazza Morbida

"Resta ancora un minuto.", le disse strizzandola a se.
Lei, morbida, si plasmava nella forma di quell'abbraccio insieme tenero ed insieme disperato.
La Ragazza Morbida.
Pensava fosse solo una leggenda ed invece eccola li.
Viva.
Vera.
In carne e ossa.
Proprio in mezzo alle sue braccia.
Ne aveva sentito parlare due anni prima in un corridoio della scuola, una leggenda bisbigliata tra le docce e i camerini.
Poi ancora un anno dopo, tra i palchi di un teatro all'italiana.
Tra stoffe e velluti così rossi e precisi da sembrare irreali.
E quella volta aveva avuto l'impressione di non essere realmente padrone di ogni suo respiro.
Come una bambolina in un enorme plastico minuzioso e perfetto.
Poi, rimasto solo, dopo l'ennesimo spiacevole momento con la Ragazza Delle Longuette,
si era cimentato
"Così! Tanto per fare!"
In quel rituale ssai ridicolo che gli avevano spiegato.
Ripetere per tre, quattro, cinque volte
puntando un dito verso sud
il nome di quell'angelo che ti mangiava via il dolore.
La Ragazza Morbida

E un istante dopo il campanello era impazzito.

Spaventato e circospetto andò ad aprire
e sulla soglia stava lei, già stupenda da dietro lo spioncino.
Non sapeva definirla era un insieme di colori, stili e stoffe, di epoche e materie,
e sorrise e lui rimase a bocca aperta e si chiese se per caso non fosse giunta la sua ora
e da solo si risposeche per quel che gl' importava era a posto con se stesso e con il mondo,
se quella era l'immagine dell' eterna pace in cielo.
Lei lesse la sua mente e si fece intenerire.
Gli disse "Posso entrare?" e lui disse "Ma sicuro!" ma in un modo un po' impacciato.
Beh, mi pare proprio il caso di sorvolare sugli aspetti più scabrosi della storia
e arriviamo giusto al punto da dove abbiamo incominciato.
"Resta ancora un minuto."
Lei si fece ancor più morbida e lucente e colorata
e gli disse "mmhh... va bene... ma non ci fare l'abitudine.
come tutti hai solo un giorno da passare col tuo sogno
poi ti toccherà di crescere e di vivere nel mondo".
Lui divenne triste ma sapeva che era quello il ciclo delle cose.
E la strinse ancor di più, godendosi le ultime gocce della sua innocenza.
Ora
tutto
era una questione di scelte.

LULU' E LA MACCHINA DEI SOGNI

Serviva a poco.
L'ultimo bagliore della macchina fabbrica-sogni di Lulù si spense accompagnato da un flebile sfiato di vapore.
"Merda!" disse lulù, tirando un pugno alla macchina.
Serviva a poco,
La macchina era morta.
Lulù ne aveva abusato, consumando in due anni la razione di sogni che avrebbero dovuto durarle ancora per una vita intera.
Si allacciò la vestaglia, seta rossa trasparente.
Fumò tre o quattro sigarette, vecchie e aspre, fissando il telefono.
Poi chiamò.
"Gerard, ho bisogno di sogni."
"Che mi venga un colpo! Lulù sei proprio tu?"
"Sì, Gerard, ho bisogno di sogni."
"Bimba, è da un pezzo che non sono nel giro. Non ti posso aiutare. Ma senti, va tutto be..."
Click.
Merda.
Serviva a poco.
Si fissò allo specchio.
Era invecchiata, sicuro.
Ma era sempre bellissima.
Un tempo era stata una stella, una stella danzante baciata dagli dei.
Il suo corpo era in grado di far piangere o ridere anche la più antica delle rocce.
Ma ormai serviva a poco.
Non danzava più, la danza l'aveva annoiata.
Voleva solo dormire.
E sognare.
E la sua macchina dei sogni si era scaricata.
Maledetta compagnia.
Ti forniva dei sogni di una vita calcolati sulla base del tuo peso, sesso, religione.
Ma nessuno ti chiedeva quanto fosse grande il tuo desiderio.
Qualcuno non ne aveva bisogno, o aveva bisogno di soldi e li vendeva sulla piazza.
Lulù aveva dormito due anni di fila, non sapeva chi fosse nel giro e chi no.
Significava cominciare a cercare, trovare vecchi amici e trovarne altri morti, magari.
Stava decidendo da dove cominciare,
Gerard era gia stato un fallimento.
Non aveva voglia di spiegare, salutare, rendere conto ad altri di come e perchè...
E poi la macchina riprese a respirare.
prima un colpo di tosse poi un singhiozzo e poi un sottile
brontolio.
Poi cominciò a diventare un vortice, poi un arcobaleno si delineò dalla macchina all'acqua nel bicchiere.
Lulù sorrise, come una bambina.
L'arcobaleno esplose per fare posto alla luce più bianca che Lulù avesse mai visto.
Sorrideva.
Gli dei che Lulù aveva servito per anni stavano presentando i loro omaggi.
Lulù s'addormento.
Ed i sogni che fece...
beh, furono fantastici.